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domenica 11 dicembre 2011

LA LUNA

giovedì, 18 dicembre 2008

di Jorge Luis Borges
LA LUNA
Racconta la storia che in quel passato
tempo in cui accaddero tante cose
reali, immaginarie e dubbie,
un uomo concepì lo smisurato

progetto di cifrare l'universo
in un libro e con impeto infinito
innalzò l'alto e arduo manoscritto
e limò e declamò l'ultimo verso.

Stava per ringraziare la fortuna
quando alzando gli occhi vide un lucido
disco nell'aria e capì, stupito,
di essersi dimenticato della luna.

La storia che ho narrato benché finta,
può ben raffigurare il maleficio
di noi che esercitiamo il mestiere
di trasformare in parole la nostra vita.


Si perde sempre l'essenziale. È una
legge di ogni parola intorno al nume.
Non saprà eluderla questo riassunto
delle mia lunga relazione con la luna.

Non so dove l'ho vista per la prima volta,
se nel cielo anteriore della dottrina
del greco o nella sera che declina
sopra il patio con il pozzo e il fico.

Come si sa, questa mutevole vita
può, fra tante cose, essere molto bella
e ci fu così qualche sera in cui con lei
ti abbiamo guardata, oh luna condivisa.

Più della lune delle notti posso
ricordare quelle del verso : l'incantata
Dragon moon che dà orrore alla ballata
e la luna sanguinante di Quevedo.

Di un'altra luna di sangue e di scarlatto
parlò Giovanni nel suo libro di feroci
prodigi e di giubili atroci;
ci sono altre più chiare lune d'argento.

Pitagora con il sangue (narra una
tradizione) scriveva su uno specchio
e gli uomini leggevano il riflesso
in quell'altro specchio che è la luna.

Di ferro c'è una selva dove dimora
l'alto lupo la cui strana sorte
è di abbattere la luna e di darle morte
quando arrosserà il mare l'ultima aurora.

(Questo il Nord profetico lo sa
e anche che in quel giorno la nave
che si fa le unghie dei morti
infesterà gli aperti mari del mondo.)

Quando a Ginevra o a Zurigo, la fortuna
volle che anch'io fossi poeta,
mi imposi, come tutti, il segreto
obbligo di definire la luna.

Con una sorta di studiosa pena
esaurivo modeste variazioni,
sotto il vivo timore che Lugones
già avesse usato l'ambra o la sabbia.

Di lontano avorio, di fumo, di fredda
neve furono le lune che illuminarono
versi che di certo non raggiunsero
l'arduo onore della tipografia.

Pensavo che il poeta è quell'uomo
che, come il rosso Adamo del Paradiso,
impone a ogni cosa il suo preciso
e vero e non saputo nome.

Ariosto mi insegnò che sull'incerta
luna dimorano i sogni, l'inafferrabile,
il tempo che si perde, il possibile
o l'impossibile, che è la stessa cosa.

Della Diana triforme Apollodoro
mi lasciò scorgere l'ombra magica;
Hugo mi diede una falce che era d'oro,
e un irlandese, la sua nera luna tragica.

E, mentre io sondavo quella miniera
delle lune della mitologia,
era là, dietro l'angolo della strada,
la luna celestiale di ogni giorno.

So che fra tutte le parole, una ce n'è
per ricordarla o per raffigurarla.
Il segreto, secondo me, sta nell'usarla
con umiltà. È la parola luna.

Non so più maculare la sua pura
apparizione con un'immagine vana;
la vedo, indecifrabile e quotidiana
e al di là della mia letteratura.

So che la luna o la parola lunaè una lettera che fu creata
per la complessa scrittura di quella strana
cosa che siamo, numerosa e una.

È uno dei simboli che nell'uomo
dà il fato o il caso perché in un giorno
di esaltazione gloriosa o di agonia
possa scrivere il proprio vero nome.

UNA ROSA E MILTON

lunedì, 05 maggio 2008

di Jorge Luis Borges
una rosa di Toscana
UNA ROSA E MILTON
Delle generazioni delle rose
Che nel fondo del tempo si sono perdute
Voglio che una si salvi dall'oblio,
Una senza marchio o segno tra le cose
Che furono. Il destino mi concede
Questo dono di nominare per la prima volta
Quel fiore silenzioso, l'ultima
Rosa che Milton avvicinò al suo viso,
Senza vederla. O tu vermiglia o gialla
O bianca rosa di un giardino cancellato,
Lascia magicamente il tuo passato
Immemorabile e in questi versi brilla,
Oro, sangue o avorio o tenebrosa
Come nelle sue mani, invisibile rosa.
una mia rosa

De las generaciones de las rosas
Que en el fondo del tiempo se han perdido
Quiero que una se salve del olvido,
Una sin marca o signo entre las cosas

Que fueron. El destino me depara
Este don de nombrar por vez primera
Esa flor silenciosa, la postrera
Rosa que Milton acercó a su cara,

Sin verla. Oh tú bermeja o amarilla
O blanca rosa de un jardín borrado,
Deja mágicamente tu pasado

Inmemorial y en este verso brilla,
Oro, sangre o marfil o tenebrosa
Como en sus manos, invisible rosa.
rosa gialla da bbc.co.uk
Forse perché condivideva con Milton la cecità degli occhi Borges ritorna sul tema della rosa e dei suoi colori invisibili. La rosa può brillare silenziosa solo nello spirito e nei versi dei due poeti.
Poesie di Borges a: Baruch Spinoza - Spinoza  - Joyce - Khayyam - Melville - Milton

sabato 10 dicembre 2011

La Rosa

giovedì, 31 gennaio 2008

di Jorge Luis Borges
La Rosa
A Judith Machado
La rosa,
l'immarcescibile rosa che non canto,
quella che è peso e fragranza,
quella del nero giardino nella notte profonda,
quella di qualundue giardino nella notte profonda,
quella di qualunque giardino e di qualunque sera,
la rosa che risorge dalla tenue
cenere per arte d'alchimia,
la rosa dei persiani e di Ariosto,
quella che è sempre sola,
quella che è sempre la rosa delle rose,
il giovane fiore platonico,
l'ardente e cieca rosa che non canto,
la rosa irraggiungibile.

La Rosa
La rosa,
la inmarcesible rosa que no canto,
la que es peso y fragancia,
la del negro jardín en la alta noche,
la de cualquier jardín y cualquier tarde,
la rosa que resurge de la tenue
ceniza por el arte de la alquimia,
la rosa de los persas y de Ariosto,
la que siempre está sola,
la que siempre es la rosa de las rosas,
la joven flor platónica,
la ardiente y ciega rosa que no canto,
la rosa inalcanzable.
*
E' struggente "l'ardente e cieca rosa", che lui, cieco, non poteva vedere. E' la rosa "del nero giardino nella notte profonda", notte negli occhi ma non nel cuore. E' la rosa poetica, la rosa della filosofia e dell'alchimia. La rosa che lui, Borges, non canta se non cantandone l'essenza di simbolo trascendente.
 

ERACLITO

giovedì, 10 gennaio 2008

di Jorge Luis Borges
ERACLITO
Eraclito cammina per la sera
di Efeso. La sera lo ha lasciato,
senza che la sua volontà lo decidesse,
sulla riva di un fiume silenzioso
il cui destino e il cui nome ignora.
C'è un Giano di pietra e qualche pioppo.
Si guarda nello specchio fuggitivo
e scopre ed elabora la sentenza
che le generazioni degli uomini
non lasceranno cadere. La sua voce dichiara:
Nessuno scende due volte nelle acque
dello stesso fiume. Si sofferma. Sente
con lo stupore di un orrore sacro
di essere anche lui un fiume e una fuga.
Vuole recuperare quel mattino
e la sua notte e la sua vigilia. Non può.
Ripete la sentenza. La vede stampata
in futuri e chiari caratteri
in una delle pagine di Burnet.
Eraclito non sa il greco. Giano,
dio delle porte, è un dio latino.
Eraclito non ha ieri né adesso.
E' soltanto un artificio che ha sognato
un uomo grigio sulle rive del Red Cedar,
un uomo che intesse endecasillabi
per non pensare tanto a Buenos Aires
e ai visi amati. Ne manca uno.
East Lansing, 1976
*
Heráclito
Heráclito camina por la tarde
De Éfeso. La tarde lo ha dejado,
Sin que su voluntad lo decidiera,
En la margen de un río silencioso
Cuyo destino y cuyo nombre ignora.
Hay un Jano de piedra y unos álamos
Se mira en el espejo fugitivo
Y descubre y trabaja la sentencia
Que las generaciones de los hombres
No dejarán caer. Su voz declara:
Nadie baja dos veces a las aguas
Del mismo río. Se detiene. Siente
Con el asombro de un horror sagrado
Que él también es un río y una fuga.
Quiere recuperar esa mañana
Y su noche y la víspera. No puede.
Repite la sentencia. La ve impresa
En futuros y claros caracteres
En una de las páginas de Burnet.
Heráclito no sabe griego. Jano,
Dios de las puertas, es un dios latino.
Heráclito no tiene ayer ni ahora.
Es un mero artificio que ha soñado
Un hombre gris a orillas del Red Cedar,
Un hombre que entreteje endecasílabos
Para no pensar tanto en Buenos Aires
Y en los rostros queridos. Uno falta.
*
Poesie di Borges a: Baruch Spinoza - Spinoza  - Joyce - Khayyam - Melville - Milton

martedì 6 dicembre 2011

HERMAN MELVILLE di Borges

domenica, 14 gennaio 2007


di Jorge Luis Borges

HERMAN MELVILLE

Sempre lo circondò il mare dei suoi avi,
I sassoni che al mare diedero il nome
Rotta della balena, in cui si adunano
Le due enormi cose, la balena
E i mari che lungamente solca.
Fu sempre il suo mare. Quando i suoi occhi
Videro in alto mare le grandi acque
Già lo aveva anelato e posseduto
In quell'altro mare, che è la Scrittura,
O nei contorni degli archetipi.
Uomo, si diede ai mari del pianeta
E alle estenuanti navigazioni
E conobbe l'arpione arrossato
Da Leviatano e la sabbia striata
Ll'odore delle notti e dell'alba
E l'orizzonte dove il caso è in agguato
E la felicità di essere coraggioso
E il piacere, infine di scorgere Itaca.
Debellatore del mare, calpestò la terra
Ferma che è la radice delle montagne
E in quella che segna una vaga carta di navigazione,
Quieta nel tempo, una bussola addormentata.
Nell'ereditata ombra dei frutteti,
Melville attraversa i pomeriggi di New England
Ma lo abita il mare. E' l'obbrobrio
Del mutilato capitano del Pequod,
Il mare indecifrabile e le burrasche
E l'abominazione del biancore.
E' il grande libro. E' l'azzurro Proteo.



Siempre lo cercò el mar de sus mayores,
Los sajones, que al mar dieron el nombre
Ruta de la ballena, en que se aùnan
Las dos enormes cosas, la ballena
Y los mares que largamente surca.
Siempre fue suyo el mar las grandes aguas
Ya lo habia anhelado y poseido
En aquel otro mar, que es la Escritura,
O en el dintorno de los arquetipos.
Hombre, se dio a los mares del planeta
Y a las agotadoras singladuras
Y conociò el arpòn enrojecido
Por Leviathàn y la rayada arena
Y el olor de las noches y del alba
Y el horizonte en que el azar acecha
Y la felicidad de ser valiente
Y el gusto, al fin, de divisar a itaca.
Debelador del mar, pisò la tierra
Firme que es la raìz de las montanas
Y en la que marca un vago derrotero,
Qiueta en el tiempo, una dormida brùjula.
A la heredada sombra de los huertos,
Melville cruza las tardes de New England
Pero lo habita el mar. Es el oprobio
del mutilado capitàn del Pequod,
El mar indescifrable y las borrascas
Y la abominaciòn de la blancura.
Es el gran libro. Es el azul Proteo.



Totalmente affascinata, continuo con il Borges dei grandi poeti, filosofi, scrittori.
*
Poesie di Borges a: Baruch Spinoza - Spinoza  - Joyce - Khayyam - Melville - Milton

La Luna di Borges

lunedì, 11 dicembre 2006

di Jorge Luis Borges


LA LUNA
A Maria Kodama
Hay tanta soledad en ese oro.
La luna de las noches no es la luna
Que viero el primer Adàn. Loa largos siglos
De la vigilia humana la han colmado
De antiguo llanto. Mirala. Es tu espejo.

C'è tanta solitudine in quell'oro.
La luna delle notti non è la luna
che vide il primo Adamo. I lunghi secoli
della veglia umana l'hanno colmata
di antico pianto. Guardala. E' il tuo specchio.



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Una piccola costellazione di archetipi in cui è facile e ritrovarsi e "specchiarsi". E trovare consolazione alla malinconia del vivere in questo sentire comune reso universale dall'intuizione poetica.

lunedì 5 dicembre 2011

Borges a Joyce

lunedì, 24 luglio 2006

di Jorge Luis Borges
Invocazione a Joyce
Dispersi in disperse capitali,
solitari e molti,
giocavamo a essere il primo Adamo
che dette nome alle cose.
Per i vasti declivi della notte
che confinano con l'aurora,
cercammo (lo ricordo ancora) le parole
della luna, della morte, della mattina
e gli altri abiti dell'uomo.
Fummo l'immagismo, il cubismo,
le conventicole e le sette
che le credule università venerano.
Inventammo l'assenza di punteggiatura,
l'omissione delle maiuscole,
le strofe a forma di colomba
dei bibliotecari di Alessandria.
Cenere, la fatica delle nostre mani
e un fuoco ardente nostra fede.
Invocaciòn a Joyce
Dispersos en dispersas capitales,
solitarios y muchos,
jugàbamos a see el primer Adàn
que dio nombre a las cosas.
Po los vastos declives de la noche
que lindan con la aurora,
buscamos (lo recuerdo aùn) las palabras
de la luna, de la muerte, de la manana
y de los otros habitos del hombre.
Fuimos el imagismo, el cubismo,
los conventìculos y sectas
que las cré dulas universidades veneran.
Inventamos la falta de punctuaciòn,
la omisiòn de mayùsculas,
las estrofas en forma de paloma
de los bibliotecarios de Alejandrìa.
Ceniza, la lbor de nuestra manos
y un fuego ardiente nuestra fe.

Mi colpisce il numero di poesie che Borges dedicò ad altri poeti e letterati. In questa a Joyce noto con commozione la rievocazione orgogliosa ma sconsolata dei tentativi e delle ricerche di una vita, e l'ardore della fede umana e artistica.
Poesie di Borges a: Baruch Spinoza - Spinoza  - Joyce - Khayyam - Melville - Milton

Borges a Spinoza

giovedì, 13 luglio 2006

di Jorge Luis Borges
 SPINOZA
Las traslúcidas manos del judío
labran en la penumbra los cristales
y la tarde que muere es miedo y frío.
(Las tardes a las tardes son iguales.)

Las manos y el espacio de jacinto
que palidece en el confín del Ghetto
casi no existen para el hombre quieto
que está soñando un claro laberinto.

No lo turba la fama, ese reflejo
de sueños en el sueño de otro espejo,
ni el temeroso amor de las doncellas.

Libre de la metáfora y del mito
labra un arduo cristal: el infinito
mapa de Aquel que es todas Sus estrellas.

SPINOZA
Le traslucide mani dell'ebreo
sfaccettano nella penombra i cristalli
e la sera che muore è paura e freddo.
(Le sere alle sere sono uguali).

Le mani e lo spazio di giacinto
che impallidisce sul confine del Ghetto
quasi non esistono per l'uomo quieto
che sta sognando un chiaro labirinto.

Non lo turba la fama, quel riflesso
di sogni nel sogno di un altro specchio,
né il timoroso amore delle fanciulle.

Libero dalla metafora e dal mito
sfaccetta un arduo cristallo: l'infinita
Mappa di Colui che è tutte le Sue stelle.
Borges dedicò due poesie a Spinoza: Baruch Spinoza e Spinoza. Certo Borges amava Spinoza, e io condivido questo amore profondamente. 
Poesie di Borges a: Baruch Spinoza - Spinoza  - Joyce - Khayyam - Melville - Milton

Borges a Spinoza

martedì, 04 luglio 2006

di Jorge Luis Borges





Baruch  Spinoza
Bruma de oro, el Occidente alumbra
La ventana. El asiduo manuscrito
Aguarda, ya cargado de infinito.
Alguien construye a Dios en la penumbra
Un hombre engendra a Dios. Es un judio
De tristes ojos y de piel cetrina;
Lo lleva el tiempo como lleva el rìo
Una hoja en el agua que declina.
No importa. El hechicero insiste y labra
A Dios con geometria delicada;
Desde su efermedad, desde su nada,
Sigue erigendo a Dios con la palabra,
El màs pròdigo amor le fue otorgado,
El amor que no espera ser amado.
Baruch Spinoza
Bruma d'oro, l'Occidente illumina
La finestra. L'assiduo manoscritto
Aspetta, già carico di infinito.
Qualcuno costruisce un Dio nella penombra.
Un uomo genera un Dio. E' un giudeo
Tristi gli occhi e citrina la pelle;
Lo porta il tempo come porta il fiume
Una foglia nell'acqua che declina.
Non importa. Il mago insiste e scolpisce
Un Dio con geometria delicata;
Dalla sua malattia, dal suo nulla,
Continua a erigere un Dio con la parola.
Il più prodigo amore gli fu concesso,
L'amore che non aspetta di essere amato.


Amo Borges, amo Spinoza. La poesia, con la sua costellazione di metafore, allegorie e miti, me li rende entrambi nella combinazione alchemica del poeta che sogna il filosofo che genera un Dio.


"Deus sive Natura"





Poesie di Borges a: Baruch Spinoza - Spinoza  - Joyce - Khayyam - Melville - Milton