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martedì 29 novembre 2011

Frammento di Iperione

domenica, 31 luglio 2005

Frammento di Iperione [2]
Melite


Bella Donna


Zante


   Mai potrò dimenticare la sera di quel mio giorno, con tutto ciò che ancora vidi nella mia ebbrezza. Fu per me ciò che di più bello può dare la primavera della terra e il cielo e la sua luce. Come nella gloria dei santi, ella pervase il rosso della sera, e le esili, piccole nubi dorate nell'etere sorridevano dall'alto, come geni celesti che si rallegrassero della loro sorella in terra, di come si muoveva tra di noi in tutta la magnificenza degli spiriti, eppur benevola verso tutto ciò che l'attorniava.
   Tutti le si stringevano attorno. A tutti sembrava comunicarsi una parte della sua essenza. Un senso nuovo di tenerezza, una dolce intimità, si era insinuato fra tutti e non sapevano come fosse loro accaduto.
   Senza domandare, venni a sapere che ella proveniva dalle sponde del Pattolo, da una solitaria valle del Tmolo, ...
   A poco a poco la vita e lo spirito crebbero tra di noi.
   Parlammo molto dei figli dell'antica Ionia, di Saffo e Alceo e di Anacreonte e in particolare di Omero, della sua tomba a Nio, di una grotta a noi vicina, scavata nella roccia, sulla riva del Melete, dove si dice che il principe dei poeti abbia spesso celebrato le ore dell'ispirazione, e parlammo di molte altre cose; i nostri cuori si confidavano come, accanto a noi, i ridenti alberi del giardino, dove i fiori piovevano a terra, sciolti dal soffio della primavera, ognuno a suo modo e anche i più poveri davano qualcosa. Melite disse alcune parole celestiali, senza artificio, senza premeditazione, con una pura, santa semplicità. Spesso, sentendola parlare, mi vennero alla mente i quadri di Dedalo, di cui Pausania disse che il loro aspetto, con tutta la loro semplicità, aveva qualcosa di divino.
    Io stetti a lungo muto, divorando la celestiale bellezza che, come i raggi della luce mattutina penetrava nel mio intimo e richiamava alla vita gli embrioni estinti del mio essere.
   Si parlò, infine, dei tanti prodigi dell'amicizia greca, dei Dioscuri, di Achille e Patroclo, della falange degli spartani, di tutti gli amanti e gli amanti che, indissolubilmente erano sorti e tramontati sul mondo come le eterne luci del cielo. ...
Friedrich Hölderlin






Amo questo amore. Fortuna ha permesso che lo provassi, anche in molti dei dettagli offerti da Hölderlin. Non è stato eterno, se non come e quanto eterno è il presente. E oggi, con tutte le variazioni possibili,  mi è caro avere ancora una volta la Fortuna amica ... ' cuori che si confidano come..." i ridenti alberi del giardino, dove i fiori piovono a terra, sciolti dal soffio della primavera, ognuno a suo modo e anche i più poveri danno qualcosa. "

Amo la "pura, santa semplicità" e il suo dolcelucente pulviscolo divino.
Melite è la visione della bellezza assoluta, e l'assoluto, sebbene intangibile, è bello da "fingersi nel pensiero" e rincorrere. Nel mito Melite è una Nereide. A che cosa pensava Friedrich quando ne scelse il nome per il suo Iperione? Melite, celestiale creatura, tuttavia non accolse l'amore di Iperione, quasi a dimostrare l'impossibile raggiungimento dell'assoluto.

Non morì "il padre della vita tutta, l'incomprensibile Amore", ma Hölderlin-Hyperion raggiunse una nuova consapevolezza:

     "Da allora in poi non potei pensare a nulla di ciò che pensavo prima, il mondo mi era diventato più sacro, ma più misterioso. Nuovi pensieri che scuotevano il mio intimo mi attraversavano, fiammeggianti, l'anima. Mi era impossibile fissarli, soffermai a pensare con calma.
     Lasciai la mia patria per trovare la verità al di là del mare.
     Come pulsavano nel mio cuore le grandi speranze della giovinezza!
     Non trovai nulla, come te. Te lo dico, mio Bellarmino! Anche tu, come me, non trovasti nulla.
     Noi siamo nulla; ciò che cerchiamo è tutto."

Dopo queste parole, l'ultima parte "Sul Citero" che si trova nel post precedente, in cui ho cominciato dalla fine, forse perché era l'inizio o l'inizio-fine come in una sfera.

Immagini: Georgia O' Keffe, Bella Donna, 1939 (http://www.okeeffemuseum.org/visit/permanent/index.html) - Egon SchieleFour trees, 1917 (http://www.ibiblio.org/wm/paint/auth/schiele/).
Testi: Friedrich Hölderlin, Frammento di Iperione, Genova, Il Melangolo, 1989, pag 27; pagg. 57-59.

Frammento di Iperione

domenica, 24 luglio 2005

Frammento di Iperione [1]
di Friedrich Hölderlin




Sul Citero

Ancora presagi senza trovare.
Interrogo le stelle ed esse tacciono; interrogo il giorno e la notte, ma non rispondono. Da me, quando m'interrogo, risuonano mistici detti, sogni senza perché.
Il mio cuore sovente sta bene in questo crepuscolo. Non so cosa mi accada quando la guardo, questa impenetrabile natura, ma sono lacrime sacre, beate, quello che piango dinanzi a Colei che amo ed è nascosta. Tutto il mio essere ammutolisce e si tende all'ascolto quando il lieve soffio misterioso della sera mi sfiora. Smarrito nel vasto azzurro, guardo sovente in alto nell'etere e in basso nel sacro mare ed è come se mi si schiudesse la porta dell' Invisibile e trapassassi con tutto ciò che mi circonda, finché un fremito nel cespuglio accanto mi sveglia dalla morte beata e mi richiama, riluttante, al punto da cui partii.
Il io cuore sta bene in questo crepuscolo. E' il nostro elemento, questo crepuscolo? Perché non posso trovarvi riposo?
Poc'anzi vidi un fanciullo che giaceva sulla via. Provvida, la madre che lo sorvegliava aveva disteso un telo sopra di lui affinché si addormentasse dolcemente all'ombra e il sole non l'abbagliasse. Ma il fanciullo non volle restare, così strappò via il telo e io vidi come cercava di guardare la luce benigna, vi provò e riprovò finché gli occhi hli dolsero e, piangente, volse lo sguardo a terra.
Povero fanciullo! pensai, agli altri non va meglio, e mi ero quasi proposto di desistere da questa temeraria curiosità. Ma non posso! non devo!
Deve pur rivelarsi il grande mistero che mi darà la vita, o la morte.

Friedrich Hölderlin




Con questo pezzo "Auf dem Cithaeron" si concludono le cinque lettere autobiografiche che formano il "Frammento di Iperione", edito da Schiller nell'autunno del 1794 sulla rivista Thalia. Cinque lettere all'amico Bellarmino in cui Hölderlin rievoca l'incontro con


Melite





Oh! a me - immerso in quel senso doloroso della mia solitudine, con quel cuore sconsolato e sanguinante - a me Ella apparve; incantevole e sacra come una sacerdotessa dell'amore, era lì dinanzi a me; eterea ed esile come intessuta di luce e profumo; sopra il sorriso pieno di pace e di bontà celestiale troneggiava, con la mestà di un dio, lo sguardo dei suoi grandi occhi splendenti e, come le nubi attorno alla luce del mattino, i riccioli d'oro le fluttuavano intorno alla fronte nella brezza primaverile.
Mio Bellarmino! Potessi fartelo sentire vivo ed intero l'ineffabile che allora accadde in me! - Dov'erano ora i dolori della mia vita, la sua notte e la sua povertà? Dove, tutta la mia misera natura mortale?
Certo, un tale attimo di liberazione è ciò che esiste di più alto e di più felice e la natura inesauribile lo contiene in sé. Esso compensa gli eoni della nostra vita di piante! La mia vita terrena era morta, il tempo non era più e, liberato dai suoi ceppi e risorto, il mio spirito sentiva la sua affinità e la sua origine. [...]
Melite! o Melite! essenza celeste!





 F. Hölderlin, Frammento di Iperione, traduzione it. di M. T. Bizzarri, a cura di C. Angelino, Il Melangolo, Genova 1989; 1-pag. 59; 2- pagg. 23-25.


Caspar David Friedrich, "Viandante sul mare di nebbia", 1818
J W Waterhouse, Windflowers,1903 - http://www.mezzo-mondo.com/arts/mm/waterhouse/index.html