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martedì 18 marzo 2014


"solitudine di mare"
Emily Dickinson


 


There is a solitude of space A solitude of sea
A solitude of Death, but these
Society shall be
Compared with that profounder site
That polar privacy
A soul admitted to itself -
Finite infinity.
*
C'è una solitudine di spazio
Una solitudine di mare
Una solitudine di morte, ma

faranno lega tutte quante
a paragone con quell'estremo punto
quella polare ritrosia
di un'anima ammessa a se medesima - 
Finita infinità.  

trad. di Mario Luzi

 

venerdì 15 marzo 2013



HYACINTHUS
bluebell
 
 
Foto: HYACINTHUS

A fine and subtle spirit dwells
 In every little flower,
 Each one its own sweet feeling breathes
 With more or less of power. 
There is a silent eloquence
 In every wild bluebell
 That fills my softened heart with bliss
 That words could never tell.

Anne Brontë
 
 
A fine and subtle spirit dwells
In every little flower,
Each one its own sweet feeling breathes
...
With more or less of power.
There is a silent eloquence
In every wild bluebell
That fills my softened heart with bliss
That words could never tell.

Anne Brontë




martedì 13 dicembre 2011

da “Mare-Colore” di Diego Valeri

sabato, 26 febbraio 2011

 da “Mare-Colore” di Diego Valeri

 Puglia_Mare Jonio_2008
 



Mare fanciullo insaziato di giuoco,
vecchio mare insaziato di pianto
tu che sei lampo e fango
e cielo e sangue e fuoco,
oggi hai lasciato alle lente rive
orgoglio e forza,
gaiezza e dolore:
oggi non sei che colore,
un bel colore che vive.

Roberto Vecchioni - Chiamami Ancora Amore ...

domenica, 20 febbraio 2011

Roberto Vecchioni - Chiamami Ancora Amore ...

Eterno Nodo d'Amore_Buddhismo
E per la barca che è volata in cielo
che i bimbi ancora stavano a giocare
che gli avrei regalato il mare intero
pur di vedermeli arrivare

Per il poeta che non può cantare
per l’operaio che non ha più il suo lavoro
per chi ha vent’anni e se ne sta a morire
in un deserto come in un porcile
e per tutti i ragazzi e le ragazze
che difendono un libro, un libro vero
così belli a gridare nelle piazze
perché stanno uccidendo il pensiero

per il bastardo che sta sempre al sole
per il vigliacco che nasconde il cuore
per la nostra memoria gettata al vento
da questi signori del dolore

Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Che questa maledetta notte
dovrà pur finire
perché la riempiremo noi da qui
di musica e di parole


Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
In questo disperato sogno
tra il silenzio e il tuono
difendi questa umanità
anche restasse un solo uomo

Chiamami ancora amore
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore

Perché le idee sono come farfalle
che non puoi togliergli le ali
perché le idee sono come le stelle
che non le spengono i temporali
perché le idee sono voci di madre
che credevano di avere perso
e sono come il sorriso di Dio
in questo sputo di universo

Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Che questa maledetta notte
dovrà pur finire

perché la riempiremo noi da qui
di musica e parole

Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Continua a scrivere la vita
tra il silenzio e il tuono
difendi questa umanità
che è così vera in ogni uomo

Chiamami ancora amore
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore

Che questa maledetta notte
dovrà pur finire
perché la riempiremo noi da qui
di musica e parole


Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
In questo disperato sogno
tra il silenzio e il tuono
difendi questa umanità
anche restasse un solo uomo


Chiamami ancora amore
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Perché noi siamo amore

Roberto Vecchioni

lunedì 12 dicembre 2011

ESTATE VERDE ERBA

martedì, 06 luglio 2010

ESTATE VERDE ERBA

Verde Erba-Minneapolis_6 luglio 2010


l'incanto di 'dolcetta' per la rugiada
 
Quando noi fummo là 've la rugiada
      pugna col sole, per essere in parte
     dove, ad orezza, poco si dirada,        123
 ambo le mani in su l'erbetta sparte
      soavemente 'l mio maestro pose:

Dante, Purgatorio, I, 121-25

Qual rugiada o qual pianto
quai lagrime eran quelle
che sparger vidi dal notturno manto
e dal candido volto de le stelle?
E perché seminò la bianca luna
di cristalline stelle un puro nembo
e l'erba fresca in grembo?
Perché ne l’aria bruna
s'udian, quasi dolendo, intorno intorno
gir l'aure insino al giorno?
Fur segni forse de la tua partita,
vita de la mia vita?

Torquato Tasso (1544-1595) 

 
.

domenica 11 dicembre 2011

Endimione

martedì, 24 febbraio 2009


"oggi c'è un bel sole e le ombre si diradano mi piacerebbe camminare lento in un sentiero fra i boschi."

Parole catturate da JeshuaHanozri alle ore 13:06 domenica, agosto 13, 2006

DSCF1757

Una cosa bella è una gioia per sempre:cresce di grazia; mai passerà
nel nulla; ma sempre terrà
una silente pergola per noi, e un sonno
pieno di dolci sogni, e salute, e quieto fiato.
Perciò ogni mattino, intrecciamo
una catena di fiori per legarci alla terra,
malgrado lo sconforto, il disumano vuoto
d'animi nobili, i giorni tristi,
e perniciose e ottenebrate vie
della nostra ricerca: sì, malgrado tutto,
una forma bella il drappo toglie
allo spirito triste. Così sole, luna,
alberi antichi, e nuovi, germoglianti felicità d'ombre
per l'umile gregge; e narcisi
col verde mondo in cui abitano; e chiari ruscelli
che cercano un fresco tetto
contro la torrida stagione; il cespuglio nel bosco,
colla spruzzata di boccioli della rosa muscata:
e così anche la mgnificenza del destino
che immaginiamo per i morti illustri;
tutti i racconti belli uditi o letti -
una fonte infinita di bevanda immortale,
cola per noi dall'orlo del cielo.

John Keats, Endimione, incipit


"Il sentimento del sublime della natura è dunque sentimento di rispetto per la nostra propria destinazione, che con una specie di sostituzione [...] rivolgiamo ad un oggetto naturale, che ci rende per così dire intuibile la superiorità della destinazione razionale delle nostre facoltà conoscitive sul massimo potere della sensibilità." scriveva Kant .....e concordo con entrambi i filosofi!
un saluto
Jeshua (
11 novembre 2008, l'ultimo commento)
.
martedì, novembre 11, 2008

Thr Great Gatsby
("Hotel by a railroad" Edward Hopper - 1952)

Parole catturate da JeshuaHanozri alle ore 20:47   

La lontananza delle nuvole

La lontananza delle nuvole
cielo rosato

Immagine 217
.
      Assomiglia la presenza lontana delle nuvole alle lontananze senza rimedio. Le forme mutevoli come la luce, la rincorsa nel cielo. Vano ogni inseguimento. Quando muore una persona amata, il tempo si blocca su quell'istante, e nello scorrere dei giorni non bastano i ricordi a sanare la nostalgia. 

     Assomigliano alle nuvole le rondini e i ricordi. I ricordi che "sgorgano l'uno dall'altro" come racconta Mario Luzi.

    Essere rondine   
                      Sgorgano
l'una dall'altra
esse, traboccano
fuori dal loro primo caldo gruppo, l' una
dopo l' altra, disfano
le loro rapide pattuglie
sbandando sotto la loro impavida veemenza
                 ed eccole si lanciano,
                 nero zampillo ricadente,
                 su, alte nell' aria, ma poco -
                                                          è solo
                 un primo assaggio
                 quello, un primo guizzo
                 di compressa fiamma
poi allungano
ciascuna più in alto - ciascuna
più, vorrebbe - il loro getto
ma non oltre il perimetro
del loro aereo campo,
non oltre il dominio della loro forza

               e toccato quel limite rientrano
               planando ad alta quota,
               impetuosamente si rituffano
               nella conca di quella
                                             inesauribile fontana.

                                             C'è pena
 o c'è felicità in quel fervere
o in quell' affannarsi?
                                             che c'è in quel vorticare
della vita dentro i suoi recinti?
                                            Sono libere
quelle anime
                  ma libere di muoversi
a un ritmo segnato...
                               che dice la molle ricaduta
che cosa la razzante ascesa
                  e la frenetica frecciata -
                                                      si occulta spesso,
                                                      talora si lascia leggere
                                                      un pensiero
                                                                  scritto in ogni parte
                                                      in ogni parte operante.
                                                                           Lo esprimono
forse esse, lo gridano con strazio ed ebrietà,
ne infuriano-
è questo il loro essere rondini,
in quella irrequietudine è la loro pace.

Mario Luzi


Mario Luzi, Tutte le poesie, Garzanti, pagg. 646-647
 

Fabrizio De Andrè 2009

domenica, 11 gennaio 2009

Fabrizio De Andrè 2009


LA LUNA

giovedì, 18 dicembre 2008

di Jorge Luis Borges
LA LUNA
Racconta la storia che in quel passato
tempo in cui accaddero tante cose
reali, immaginarie e dubbie,
un uomo concepì lo smisurato

progetto di cifrare l'universo
in un libro e con impeto infinito
innalzò l'alto e arduo manoscritto
e limò e declamò l'ultimo verso.

Stava per ringraziare la fortuna
quando alzando gli occhi vide un lucido
disco nell'aria e capì, stupito,
di essersi dimenticato della luna.

La storia che ho narrato benché finta,
può ben raffigurare il maleficio
di noi che esercitiamo il mestiere
di trasformare in parole la nostra vita.


Si perde sempre l'essenziale. È una
legge di ogni parola intorno al nume.
Non saprà eluderla questo riassunto
delle mia lunga relazione con la luna.

Non so dove l'ho vista per la prima volta,
se nel cielo anteriore della dottrina
del greco o nella sera che declina
sopra il patio con il pozzo e il fico.

Come si sa, questa mutevole vita
può, fra tante cose, essere molto bella
e ci fu così qualche sera in cui con lei
ti abbiamo guardata, oh luna condivisa.

Più della lune delle notti posso
ricordare quelle del verso : l'incantata
Dragon moon che dà orrore alla ballata
e la luna sanguinante di Quevedo.

Di un'altra luna di sangue e di scarlatto
parlò Giovanni nel suo libro di feroci
prodigi e di giubili atroci;
ci sono altre più chiare lune d'argento.

Pitagora con il sangue (narra una
tradizione) scriveva su uno specchio
e gli uomini leggevano il riflesso
in quell'altro specchio che è la luna.

Di ferro c'è una selva dove dimora
l'alto lupo la cui strana sorte
è di abbattere la luna e di darle morte
quando arrosserà il mare l'ultima aurora.

(Questo il Nord profetico lo sa
e anche che in quel giorno la nave
che si fa le unghie dei morti
infesterà gli aperti mari del mondo.)

Quando a Ginevra o a Zurigo, la fortuna
volle che anch'io fossi poeta,
mi imposi, come tutti, il segreto
obbligo di definire la luna.

Con una sorta di studiosa pena
esaurivo modeste variazioni,
sotto il vivo timore che Lugones
già avesse usato l'ambra o la sabbia.

Di lontano avorio, di fumo, di fredda
neve furono le lune che illuminarono
versi che di certo non raggiunsero
l'arduo onore della tipografia.

Pensavo che il poeta è quell'uomo
che, come il rosso Adamo del Paradiso,
impone a ogni cosa il suo preciso
e vero e non saputo nome.

Ariosto mi insegnò che sull'incerta
luna dimorano i sogni, l'inafferrabile,
il tempo che si perde, il possibile
o l'impossibile, che è la stessa cosa.

Della Diana triforme Apollodoro
mi lasciò scorgere l'ombra magica;
Hugo mi diede una falce che era d'oro,
e un irlandese, la sua nera luna tragica.

E, mentre io sondavo quella miniera
delle lune della mitologia,
era là, dietro l'angolo della strada,
la luna celestiale di ogni giorno.

So che fra tutte le parole, una ce n'è
per ricordarla o per raffigurarla.
Il segreto, secondo me, sta nell'usarla
con umiltà. È la parola luna.

Non so più maculare la sua pura
apparizione con un'immagine vana;
la vedo, indecifrabile e quotidiana
e al di là della mia letteratura.

So che la luna o la parola lunaè una lettera che fu creata
per la complessa scrittura di quella strana
cosa che siamo, numerosa e una.

È uno dei simboli che nell'uomo
dà il fato o il caso perché in un giorno
di esaltazione gloriosa o di agonia
possa scrivere il proprio vero nome.

Del Sublime

lunedì, 17 novembre 2008

Del Sublime [6]
di Percy Bysshe Shelley e Mary Godwin Shelley
Il Monte Bianco
I
L'eterno universo delle cose
Fluisce per la mente, e rovescia le sue rapide onde,
oscuro ora, ora lucente, e ora riflettendo il buio,
ora imprestando il suo spendore, dove
da sorgenti segrete
la fonte del pensiero umano il suo tributo porta
d'acque, con suono solo mezzo suo, come il fragore
che spesso un flebile ruscello assume
nei boschi impervi, fra le montagne solitarie,
dove cascate attorno eternamente scrosciano,
e i venti e gli alberi contendono, e un vasto fiume
sulle sue rocce incessantemente precipita e infuria.

II

E così tu, Gola dell'Arve, oscura, profonda Gola,
variopinta, vociferante valle,
sopra i cui pini, e le caverne e balze salpano
veloci ombre di nuvole e raggi di sole: scena terribile,
dove il Potere in sembianza dell'Arve discende
dalle voragini di ghiaccio
di cui è recinto il suo segreto trono, dirompendo
fra questi monti oscuri simile alla fiamma
del lampo che attraversa la tempesta;
tu giaci, o valle! E attorno a te s'abbarbica
la gigantesca prole dei tuoi pini,
figli ancestrali, a cui devotamente
gli scatenati venti tornano da sempre
per bere i loro aromi, e ascoltare
la loro onda possente, un'antica e solenne armonia;
i tuoi terrestri arcobaleni tesi sulla curva dell'eterea cascata, il cui velo riveste
un qualche non scolpito volto; il sonno strano,
quando le voci del deserto tacciono,
che tutto ammanta nella propria profonda eternità;
le tue caverne che ripetono l'eco del tumultuoso Arve,
un solitario alto fragore, che nessuno altro suono può domare;
tu sei pervasa da quel moto assiduo,
tu sei il sentiero di quel fragore incessante
vertiginosa Gola! E contemplandoti
mi sembra come se, in sublime e strana ipnosi,
io meditassi sulla mia stessa disgiunta fantasia,
sulla mia mente umana, che passiva
ora rende e riceve rapidi influssi, mantenendo
uno scambio continuo
col limpido universo delle cose intorno;
una legione di selvatici pensieri, le cui errabonde ali
fluttuano sopra le tue tenebre, o riposano
dove non siete, tu né quelle, ospiti inattesi,
nella silente grotta della strega Poesia,
cercando fra le ombre che trascorrono,
spettri di tutte le cose che sono, un riflesso di te,
un tuo fantasma, una tua fioca immagine; finché quel seno
da cui fuggirono li richiama, e allora tu sei là!
III
Si dice che bagliori di un mondo più remoto
Visitano l'anima nel sonno, che la morte è un torpore,
e che le sue forme sono più numerose
di tutti i pensieri affaccendati di coloro
che sono svegli e vivono. Guardo in alto;
forse un'ignota onnipotenza ha sollevato
il velo della vita e della morte? o dormo
e sto sognando, e il più possente mondo
del sonno spiega attorno, lontano e inaccessibilmente
i suoi cerchi? Perché lo stesso spirito si perde, trascinato
di picco in picco, simile a una nuvola
spaesata che svanisce fra le invisibili folate!
Lontano, in alto, trafiggendo il cielo infinito,
il Monte Bianco appare, calmo, innevato e nitido,
i monti suoi vassalli ammassano attorno
le loro forme non terrene, ghiaccio e roccia;
larghe vallate in mezzo
di fiumi assiderati, profondità insondabili,
azzurre come il cielo sovrastante, che si aprono
e scendono tortuose fra i dirupi accumulati;
un deserto abitato soltanto da tempeste,
se non quando l'aquila vi porta le ossa di qualche cacciatore,
e il lupo segue la sua traccia: in che congerie orrenda
sono ammassate le sue forme! Ruvide e nude e alte,
spettrali, deturpate e infrante. E qui la scena
dove l'antico demone del Terremoto insegnava ai suoi piccoli
la distruzione? Erano questi i loro giochi? o un mare
di fuoco avviluppava un tempo queste silenti nevi?
Nessuno può rispondere, tutto sembra eterno ora.
Questo deserto ha una sua lingua misteriosa
Che insegna un dubbio terribile, o una fede così dolce,
così solenne e serena, che solo grazie a essa
l'uomo può essere riconciliato alla natura;
superbo Monte, la tua voce può abrogare
vaste leggi di frode e di dolore; non tutti la comprendono,
ma i saggi e i grandi e i buoni
l'interpretano, o la fan sentire, o la sentono profondamente.

IV
I campi, i laghi, le foreste e le correnti,
l'oceano, e tutte le viventi cose che dimorano
nella dedalea terra; lampo e pioggia,
il terremoto, e l'infuocata piena, e l'uragano,
il torpore dell'anno in cui deboli sogni fanno visita
alle nascoste gemme, o un sonno senza sogni
incombe su ogni futura foglia e fiore; il balzo
con cui si slanciano da quell'odiata stasi;
l'opere e i modi umani, la oro morte e nascita,
quelle dell'uomo e d'ogni cosa che può essere sua;
tutte le cose che si muovono e respirano, con faticosa voce,
nascono e muoiono; s'evolvono, decrescono e s'espandono.
Il Potere dimora in disparte nella sua calma
Remoto, sereno, e inaccessibile:
e questo, il nudo aspetto della terra,
su cui fisso lo sguardo, questi premevi monti anch' essi educano
la mente attenta. I ghiacciai strisciano,
come serpenti che osservano la loro preda,
dalle loro lontane sorgenti, e lentamente avanzano;
il Gelo e il Sole, a scherno del potere dei mortali,
v'hanno ammucchiato molti precipizi;
duomo, piramidi, e pinnacoli,
una città di morte, adorna di torrioni
e mura inespugnabili di ghiaccio abbacinante.
No, non una città, ma una fiumana di rovine
È lassù, che dalle sponde del cielo
rovescia il suo torrente eterno; vasti pini sono sparsi
sul suo sentiero destinato, o stanno nel terreno maciullato
squassati e senza rami: i massi, trascinati
da quelle scabre altezze, hanno travolto
i limiti del mondo morto o del mondo che vive,
mai più ristabilibili. L'ambiente
d'insetti, bestie, e uccelli, diventa il suo bottino;
il loro cibo e i loro nidi per sempre cancellati,
e tanta gioia e vita è perduta. La razza
dell'uomo fugge nel terrore; le sue opere e le abitazioni
svaniscono, come al vento della tempesta il fumo,
e il loro luogo è sconosciuto. Sotto, vaste caverne lucono
nell'inquieto bagliore dei rapidi torrenti,
che tumultuosi traboccando da quei segreti abissi
s'incontran nella valle, e un unico maestoso Fiume,
respiro e sangue di lontane terre, sempre
rovescia le sue acque fragorose nell'onde dell'oceano,
e esala i suoi svelti vapori nell'aria volteggiante.

V
Il Monte Bianco ancora splende in alto; il potere è lassù,
l'immoto e solenne potere di molti aspetti
e molti suoni, e tanta vita e morte.
Nel calmo buio delle notti senza luna,
nel solitario fulgore del giorno, le nevi scendono
sulla Montagna; e là nessuna le contempla,
né quando i fiocchi ardono nel sole che sprofonda,
né quando i raggi delle stelle sfrecciano
attraverso di loro: i venti lottano
là silenziosamente, e ammucchiano la neve con un soffio
rapido e forte, ma in silenzio! Il muto lampo
abita in queste solitudini
innocuamente, e simile a un vapore cova
sopra le nevi. La segreta forza delle cose
che governa il pensiero, e per la cupola infinita
del cielo è come una legge, abita in te!
E che saresti tu, e la terra, le stelle e il mare,
se per l'immaginare della mente umana
silenzio e solitudine fossero il vuoto?
I miei pensieri sorgono e si dileguano nella solitudine,
il verso che vorrebbe rivestirli
si scioglie via come la luce della luna
nel raggio del mattino che si stende:
come eran belli, come stavano decisi,
screziando il cielo stellato come un tessuto di perle!

Versi scritti nella Valle di Chamonix da Shelley in collaborazione con Mary Godwin Shelley
1.  Percy Bysshe Shelley, Opere. 2. Testo originale: Percy Bysshe Shelley, The Complete Poetical Works , qui .

UNA ROSA E MILTON

lunedì, 05 maggio 2008

di Jorge Luis Borges
una rosa di Toscana
UNA ROSA E MILTON
Delle generazioni delle rose
Che nel fondo del tempo si sono perdute
Voglio che una si salvi dall'oblio,
Una senza marchio o segno tra le cose
Che furono. Il destino mi concede
Questo dono di nominare per la prima volta
Quel fiore silenzioso, l'ultima
Rosa che Milton avvicinò al suo viso,
Senza vederla. O tu vermiglia o gialla
O bianca rosa di un giardino cancellato,
Lascia magicamente il tuo passato
Immemorabile e in questi versi brilla,
Oro, sangue o avorio o tenebrosa
Come nelle sue mani, invisibile rosa.
una mia rosa

De las generaciones de las rosas
Que en el fondo del tiempo se han perdido
Quiero que una se salve del olvido,
Una sin marca o signo entre las cosas

Que fueron. El destino me depara
Este don de nombrar por vez primera
Esa flor silenciosa, la postrera
Rosa que Milton acercó a su cara,

Sin verla. Oh tú bermeja o amarilla
O blanca rosa de un jardín borrado,
Deja mágicamente tu pasado

Inmemorial y en este verso brilla,
Oro, sangre o marfil o tenebrosa
Como en sus manos, invisible rosa.
rosa gialla da bbc.co.uk
Forse perché condivideva con Milton la cecità degli occhi Borges ritorna sul tema della rosa e dei suoi colori invisibili. La rosa può brillare silenziosa solo nello spirito e nei versi dei due poeti.
Poesie di Borges a: Baruch Spinoza - Spinoza  - Joyce - Khayyam - Melville - Milton

sabato 10 dicembre 2011

Roland Barthes e lo Haiku

giovedì, 27 marzo 2008

Roland Barthes e lo Haiku
[2]









     L'effrazione del senso


  • L'Occidente inumidisce di senso ogni cosa, alla maniera di una religione autoritaria che imponga il battesimo all'intera popolazione; gli oggetti del linguaggio (fatti con la parola) sono evidentemente dei convertiti di diritto:
  • il senso primo della lingua richiama, metonimicamente,
  • il senso secondo del discorso e questo richiamo ha valore di un vincolo universale.
Noi abbiamo due modi per evitare al discorso l'infamia del non-senso e sottomettiamo sistematicamente l'enunciato (in una chiusura estrema di ogni tipo di nullità, che potrebbe far intravvedere il vuoto del linguaggio) all'una o all'altra di queste significanze (ovvero fabricazione attiva di segni): il simbolo e il ragionamento, la metafora e il sillogismo.

Lo haiku, le cui espressioni accessibili (come si dice in linguistica) è attirato in un tipo o nell'altro di questi due imperi del senso. Dal momento che si tratta di un "poema" lo si cataloga in quella parte del codice generale dei sentimenti che si chiama "l'emozione poetica" (la Poesia abitualmente è per noi il sigificante di ciò che è "confuso", dell' "ineffabile", del "sensibile", rappresenta insomma la classe delle cose inclassificabili): si parla di "emozione concentrata", di "annotazione sincera di un istante d'eccezione", e soprattutto di "silenzio" (il silenzio essendo per noi segno di un pieno di linguaggio).

Se uno degli autori di haiku (Joso) scrive:

     Quante persone
     Sono passate attraverso la pioggia d'autunno
     Sul ponte di Seta!

vi si legge l'immagine del tempo che fugge.

*


Se un altro (Basho) scrive:

      Vengo attraverso il sentiero di montagna.
     Ah! che meraviglia!
     Una violetta!

è perché ha trovato un eremita buddista, "fior di virtù" e così via.



 






.
[continua. Roland Barthes, L'impero dei segni, Einaudi, pagg. 81-82] - Roland Barthes e lo Haiku [1]  

in direzione della pura luce

martedì, 18 marzo 2008

Arno al tramonto

Firenze, l'Arno


Scalando il monte in direzione della pura luce

Piano piano si penetra nella natura non rivelata.

I raggi del tramonto illuminano in basso i flutti del fiume;

Nel cielo limpido si ergono, pure mille cime.

La Porta di Pietra custodisce la bellezza dell'ora,

Mentre dal crepuscolo gia` si alza la luna.

In ascesa, verso la capanna del Maestro Lontano,

Un sentiero e` appeso a fianco del picco solitario.

Attraverso le nuvole appare la luce della lampada;

Sotto i pini si fanno udire le pietre sonore.

Faccia a faccia, ospite e visitatore, senza parole.

Cuore palpitante conquistato a un tratto dalla pietra del Chan.


(François Cheng, Shitao 1642-1707. Il sapore del mondo)

Roland Barthes e lo Haiku


mercoledì, 05 marzo 2008


Roland Barthes e lo Haiku
[1]







     L'effrazione del senso


     Lo haiku ha una proprietà un poco fantasmagorica: che ci si immagina sempre di poterne comporre da sé con facilità. Ci si dice: che cosa di più accessibile alla scrittura spontanea di questo haiku (di Buson)?:

      E' sera, autunno.
      Io penso soltanto
      Ai miei parenti

     Lo haiku fa invidia: quanti lettori occidentali non hanno mai sognato di passeggiare per la vita, taccuino alla mano, annotando qui e là delle "impressioni", la cui brevità garantirebbe la perfezione, la cui semplicità attesterebbe la profondità (in virtù di una doppia mitologia, l'una classica, che fa della concisione una prova d'arte, l'altra, romantica, che attribuisce un valore di verità all'improvvisazione)?

     Pur essendo del tutto intelligibile, lo haiku non vuol dire nulla ed è per questa doppia condizione ch'esso sembra offerto alle interpretazioni in un modo particolarmente disponibile, servizievole, come un ospite cortese, che vi permette d'installarvi comodamente in casa sua, con le vostre manie, i vostri valori, i vostri simboli; l' "assenza" dello haiku (come si può affermare altrettanto bene d'uno spirito irreale che d'un padrone di casa partito per un viaggio), invoca la subornazione, l'effrazione, la voluttà maggiore, quella del segno.

    Questo senso prezioso, vitale, appetibile come una fortuna (caso e denaro) lo haiku, sbarazzato dalle costrizioni metriche (nelle traduzioni che noi possediamo) sembra fornircelo a profusione, a buon prezzo e su ordinazione: nello haiku, potremmo dire, il simbolo, la metafora, la morale non costano pressoché nulla: soltanto qualche parola, un'immagine, un sentimento, la dove la nostra letteratura richiede abitualmente un poema, un dispiegamento o (nel genere più breve) un pensiero cesellato, insomma un lungo travaglio retorico.

    Così anche lo haiku sembra offrire all'Occidente dei diritti che la sua letteratura gli rifiuta e delle comodità ch'essa gli lesina. Avete il diritto, suggerisce lo haiku, d'essere futile, breve, ordinario; racchiudete ciò che vedete, ciò che sentite, in un minimo orizzonte di parole e saprete interessare; avete il diritto di fondare voi stessi (e a partire da voi stessi) ciò che vi sembra ragguardevole; la vostra frase, qualunque essa sia, enuncerà una morale, produrrà un simbolo, voi sarete profondo; con minimo dispendio, la vostra scrittura sarà piena.





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[continua. Roland Barthes, L'impero dei segni, Einaudi, pagg. 80-81]- Roland Barthes e lo Haiku [2]

Spazi blu

lunedì, 18 febbraio 2008

Spazi blu
 
sussurri di piccole luci 
melodie di voci fiorite
sospiri di vita e di morte
*
Oltre Il Tempo e Lo Spazio

Dove la luce si espande
in onde

Dove i colori si uniscono
in fili d’anima

Dove le mani si intrecciano
in una sinfonia
di suoni

Dove gli occhi ascoltano
fuochi di parole lontane

Dove le radici sono segni
impressi nel cuore

in sottile filigrana di Noi

La Rosa

giovedì, 31 gennaio 2008

di Jorge Luis Borges
La Rosa
A Judith Machado
La rosa,
l'immarcescibile rosa che non canto,
quella che è peso e fragranza,
quella del nero giardino nella notte profonda,
quella di qualundue giardino nella notte profonda,
quella di qualunque giardino e di qualunque sera,
la rosa che risorge dalla tenue
cenere per arte d'alchimia,
la rosa dei persiani e di Ariosto,
quella che è sempre sola,
quella che è sempre la rosa delle rose,
il giovane fiore platonico,
l'ardente e cieca rosa che non canto,
la rosa irraggiungibile.

La Rosa
La rosa,
la inmarcesible rosa que no canto,
la que es peso y fragancia,
la del negro jardín en la alta noche,
la de cualquier jardín y cualquier tarde,
la rosa que resurge de la tenue
ceniza por el arte de la alquimia,
la rosa de los persas y de Ariosto,
la que siempre está sola,
la que siempre es la rosa de las rosas,
la joven flor platónica,
la ardiente y ciega rosa que no canto,
la rosa inalcanzable.
*
E' struggente "l'ardente e cieca rosa", che lui, cieco, non poteva vedere. E' la rosa "del nero giardino nella notte profonda", notte negli occhi ma non nel cuore. E' la rosa poetica, la rosa della filosofia e dell'alchimia. La rosa che lui, Borges, non canta se non cantandone l'essenza di simbolo trascendente.
 

Nuvole

venerdì, 18 gennaio 2008

Nuvole


Nuvole piccole bianche leggere. Mi rendono consapevole della profondità impalpabile del cielo e della opaca realtà della terra. Fluttuo tra i ricordi di quando ero bambina, incapace di rimanere nel presente. Passano di forma in forma le nuvole come soffi di sogno o trascolorare di pensieri. Nuvole.
*
Infanzia

Si dovrebbe riflettere a lungo per parlare
di certe cose che così si persero,
quei lunghi pomeriggi dell’infanzia
che mai tornarono uguali – e perché?

Dura il ricordo-: forse in una pioggia,
ma non sappiamo ritrovarne il senso;
mai fu la nostra vita così piena
di incontri, di arrivederci, di transiti

come quando ci accadeva soltanto
ciò che accade a una cosa o a un animale:
vivevamo la loro come una sorte umana
ed eravamo fino all’orlo colmi di figure.

Eravamo come pastori immersi
in tanta solitudine e immense distanze,
e da lontano ci chiamavano e sfioravano,
e lentamente fummo – un lungo, nuovo filo –
immessi in quella catena di immagini
in cui duriamo e ora durare ci confonde.

Rainer Maria Rilke

Tra i doni della amica Blue, timelineofblue , la poesia di Rilke.

ERACLITO

giovedì, 10 gennaio 2008

di Jorge Luis Borges
ERACLITO
Eraclito cammina per la sera
di Efeso. La sera lo ha lasciato,
senza che la sua volontà lo decidesse,
sulla riva di un fiume silenzioso
il cui destino e il cui nome ignora.
C'è un Giano di pietra e qualche pioppo.
Si guarda nello specchio fuggitivo
e scopre ed elabora la sentenza
che le generazioni degli uomini
non lasceranno cadere. La sua voce dichiara:
Nessuno scende due volte nelle acque
dello stesso fiume. Si sofferma. Sente
con lo stupore di un orrore sacro
di essere anche lui un fiume e una fuga.
Vuole recuperare quel mattino
e la sua notte e la sua vigilia. Non può.
Ripete la sentenza. La vede stampata
in futuri e chiari caratteri
in una delle pagine di Burnet.
Eraclito non sa il greco. Giano,
dio delle porte, è un dio latino.
Eraclito non ha ieri né adesso.
E' soltanto un artificio che ha sognato
un uomo grigio sulle rive del Red Cedar,
un uomo che intesse endecasillabi
per non pensare tanto a Buenos Aires
e ai visi amati. Ne manca uno.
East Lansing, 1976
*
Heráclito
Heráclito camina por la tarde
De Éfeso. La tarde lo ha dejado,
Sin que su voluntad lo decidiera,
En la margen de un río silencioso
Cuyo destino y cuyo nombre ignora.
Hay un Jano de piedra y unos álamos
Se mira en el espejo fugitivo
Y descubre y trabaja la sentencia
Que las generaciones de los hombres
No dejarán caer. Su voz declara:
Nadie baja dos veces a las aguas
Del mismo río. Se detiene. Siente
Con el asombro de un horror sagrado
Que él también es un río y una fuga.
Quiere recuperar esa mañana
Y su noche y la víspera. No puede.
Repite la sentencia. La ve impresa
En futuros y claros caracteres
En una de las páginas de Burnet.
Heráclito no sabe griego. Jano,
Dios de las puertas, es un dios latino.
Heráclito no tiene ayer ni ahora.
Es un mero artificio que ha soñado
Un hombre gris a orillas del Red Cedar,
Un hombre que entreteje endecasílabos
Para no pensar tanto en Buenos Aires
Y en los rostros queridos. Uno falta.
*
Poesie di Borges a: Baruch Spinoza - Spinoza  - Joyce - Khayyam - Melville - Milton

venerdì 9 dicembre 2011

"e la morte non avrà dominio"

martedì, 18 dicembre 2007

ninfea bianca
Non è morto con te il magico mondo dove il ricordo trattiene i momenti eterni delle nostre vite. Come in sogno tremolano le immagini e i suoni, gli odori e gli affetti dei giorni vissuti che si dilatano nel silenzio. "E la morte non avrà dominio".

Del Sublime

martedì, 11 dicembre 2007

Del Sublime [3]
ΠΕΡΙ ΥΨΟΥΣ
Saffo ed Alceo a Mitilene, Lawrence Alma-Tadema (1881)
Pseudo-Longino e la poesia di Saffo
X. 1. [...] Così Saffo; le passioni che accompagnano il delirio amoroso, essa le ricava di volta in volta dagli effetti collaterali e dall'evidenza stessa. Ma dove essa dimostra la sua bravura? Quando ha la capacità di scegliere i più elevati e i più tesi di quegli effetti, e a connetterli tra loro: 2.
Mi sembra uguale agli dei
l'uomo che ti siede dinanzi
e vicino ti ascolta
   che dolce parli
e desiderabile sorridi. Questo
fin dentro il petto sconvolge il mio cuore:
appena ti guardo, la voce
   mi vien meno;
mi si spezza la lingua, sottile
improvviso il cuore mi corre sotto la pelle;
con gli occhi non vedo più nulla,
   gli orecchi mi rombano.
Mi cola il sudore, un tremito
mi prende tutta, e son più pallida dell'erba.
Già quasi vicino a morire,
   senza respiro io sembro.
Ma tutto bisogna sopportare, perché...
3. Non provi meraviglia come in una sola volta essa vada ricercando l'anima sua, il corpo, l'udito, la lingua, gli occhi, la pelle, quasi fosse a lei estranea e dispersa in ogni parte? Che in una sequenza di opposizioni essa geli e nel contempo bruci, sragioni e recuperi il senno (infatti essa è in preda all'angoscia, e poco manca che sia morta), in modo che una sola passione traspare in lei, ma un accavallarsi di passioni? Tutti i fatti come questi capitano a chi ama; ma la scelta, come ho detto, degli elementi più incisivi e la loro riunione in un medesimo quadro ha realizzato l'eccezionale. [...]