quella luce alla finestra
'La luna si levò tardi e risplendeva sopra i rami. Nei nidi dormivano le cince, rannicchiate come lui. Nella notte, all'aperto, il silenzio del parco era attraversato da cento fruscii e rumori lontani, e dal trascorrere del vento. A tratti giungeva un remoto mugghio: il mare. Io dalla finestra tendevo l'orecchio a questo frastagliato respiro e cercavo di immaginarlo udito senza l'alveo familiare della casa alle spalle, da chi si trovava pochi metri più in là soltanto, ma tutto affidato ad esso, con solo la notte intorno s sé; unico oggetto a cui tenersi abbracciato un tronco d'albero dalla scorza ruvida, percorso da minute gallerie senza fine in cui dormivano le larve.
Andai a letto, ma non volli spegnere la candela. Forse quella luce alla finestra dellla sua stanza poteva tenergli compagnia. Avevamo una camera in comune, con due lettini ancora da ragazzi. Io guardavo il suo, intatto, e il buio fuor della finestra in cui egli stava, e mi rivoltavo tra le lenzuola avvertendo forse per la prima volta la gioia dello stare spogliato, a piedi nudi, in un letto caldo e bianco, e come sentendo insieme il disagio di lui legato lassù nella coperta ruvida, le gambe allacciate nelle ghette, senza potersi girare, le ossa rotte. E' un sentimento che non m'ha più abbandonato da quella notte, la coscienza di che fortuna sia aver un letto, lenzuola pulite, materasso morbido! In questo sentimento i miei pensieri, per tante ore proiettati sulla persona che era oggetto di tutte le nostre ansie, vennero a richiudersi su di me e così m'addormentai.'
Me l'ha indicata mia figlia, dolce figlia, questa gemma calviniana, leggendomela ad alta voce, con grande emozione di entrambe.
Testo: Italo Calvino, Il barone rampante, 3. La notte in cima all'albero
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