Frammento di Iperione [2]
Melite
Zante
Mai potrò dimenticare la sera di quel mio giorno, con tutto ciò che ancora vidi nella mia ebbrezza. Fu per me ciò che di più bello può dare la primavera della terra e il cielo e la sua luce. Come nella gloria dei santi, ella pervase il rosso della sera, e le esili, piccole nubi dorate nell'etere sorridevano dall'alto, come geni celesti che si rallegrassero della loro sorella in terra, di come si muoveva tra di noi in tutta la magnificenza degli spiriti, eppur benevola verso tutto ciò che l'attorniava.
Tutti le si stringevano attorno. A tutti sembrava comunicarsi una parte della sua essenza. Un senso nuovo di tenerezza, una dolce intimità, si era insinuato fra tutti e non sapevano come fosse loro accaduto.
Senza domandare, venni a sapere che ella proveniva dalle sponde del Pattolo, da una solitaria valle del Tmolo, ...
A poco a poco la vita e lo spirito crebbero tra di noi.
Parlammo molto dei figli dell'antica Ionia, di Saffo e Alceo e di Anacreonte e in particolare di Omero, della sua tomba a Nio, di una grotta a noi vicina, scavata nella roccia, sulla riva del Melete, dove si dice che il principe dei poeti abbia spesso celebrato le ore dell'ispirazione, e parlammo di molte altre cose; i nostri cuori si confidavano come, accanto a noi, i ridenti alberi del giardino, dove i fiori piovevano a terra, sciolti dal soffio della primavera, ognuno a suo modo e anche i più poveri davano qualcosa. Melite disse alcune parole celestiali, senza artificio, senza premeditazione, con una pura, santa semplicità. Spesso, sentendola parlare, mi vennero alla mente i quadri di Dedalo, di cui Pausania disse che il loro aspetto, con tutta la loro semplicità, aveva qualcosa di divino.
Io stetti a lungo muto, divorando la celestiale bellezza che, come i raggi della luce mattutina penetrava nel mio intimo e richiamava alla vita gli embrioni estinti del mio essere.
Si parlò, infine, dei tanti prodigi dell'amicizia greca, dei Dioscuri, di Achille e Patroclo, della falange degli spartani, di tutti gli amanti e gli amanti che, indissolubilmente erano sorti e tramontati sul mondo come le eterne luci del cielo. ...
Friedrich Hölderlin
Amo questo amore. Fortuna ha permesso che lo provassi, anche in molti dei dettagli offerti da Hölderlin. Non è stato eterno, se non come e quanto eterno è il presente. E oggi, con tutte le variazioni possibili, mi è caro avere ancora una volta la Fortuna amica ... ' cuori che si confidano come..." i ridenti alberi del giardino, dove i fiori piovono a terra, sciolti dal soffio della primavera, ognuno a suo modo e anche i più poveri danno qualcosa. "
Amo la "pura, santa semplicità" e il suo dolcelucente pulviscolo divino.
Melite è la visione della bellezza assoluta, e l'assoluto, sebbene intangibile, è bello da "fingersi nel pensiero" e rincorrere. Nel mito Melite è una Nereide. A che cosa pensava Friedrich quando ne scelse il nome per il suo Iperione? Melite, celestiale creatura, tuttavia non accolse l'amore di Iperione, quasi a dimostrare l'impossibile raggiungimento dell'assoluto.
Non morì "il padre della vita tutta, l'incomprensibile Amore", ma Hölderlin-Hyperion raggiunse una nuova consapevolezza:
"Da allora in poi non potei pensare a nulla di ciò che pensavo prima, il mondo mi era diventato più sacro, ma più misterioso. Nuovi pensieri che scuotevano il mio intimo mi attraversavano, fiammeggianti, l'anima. Mi era impossibile fissarli, soffermai a pensare con calma.
Lasciai la mia patria per trovare la verità al di là del mare.
Come pulsavano nel mio cuore le grandi speranze della giovinezza!
Non trovai nulla, come te. Te lo dico, mio Bellarmino! Anche tu, come me, non trovasti nulla.
Noi siamo nulla; ciò che cerchiamo è tutto."
Dopo queste parole, l'ultima parte "Sul Citero" che si trova nel post precedente, in cui ho cominciato dalla fine, forse perché era l'inizio o l'inizio-fine come in una sfera.
Testi: Friedrich Hölderlin, Frammento di Iperione, Genova, Il Melangolo, 1989, pag 27; pagg. 57-59.