Del Sublime [5]
da Pseudo-Longino, Del sublime
XXXV 2 "Che cosa pensavano mai quegli spiriti pari agli dei, che mirando a ciò che vi è di più grande nell'arte dello scrivere, pure non si curarono in ogni luogo di una puntuale esattezza? Tra molte altre considerazioni, valga questa: che la natura ci ha giudicato non un animale dappoco e ignobile, ma introducendoci nella vita e nell'ordine universale come in una grande festa panegirica (perché fossimo spettatori di tutte le sue opere, pronti alla lotta, pieni di spirito di emulazione), subito ha generato nell'animo nostro irriducibile amore per tutto ciò che è eternamente grande e più vicino allo spirito divino in rapporto a noi. 3 Perciò, allo slancio della contemplazione e della riflessione dell'uomo nemmeno l'universo intero è sufficiente, ma spesso la sua immaginazione tende a valicare i confini del mondo che ci circonda; e se uno volga lo sguardo tutto intorno alla nostra vita, e consideri il ruolo preponderante che ha per noi in ogni cosa quel che è fuori dalla norma, il grande e il bello, ben presto scoprirà il motivo per cui siamo nati. 4 Per questo, spinti da una sorta di istinto naturale, ammiriamo, per Zeus, non i piccoli corsi d'acqua, anhe se limpidi e utili, ma il Nilo, l'Istro o il Reno, e ancor più l'Oceano; né codesta fiammetta che abbiamo acceso (benché pura conservi la sua luce) ci sgomenta più dei corpi celesti, benché spesso si oscurino; né la consideriamo più degna di meraviglia dei crateri dell'Etna, le cui eruzioni portano su pietre e interi blocchi rocciosi dall'abisso, e talvolta rovesciano fiumi di quel fuoco nato dalla terra e che obbedisce solo alla sua volontà. 5 Ma da tutto ciò possiamo trarre la conclusione che quel che è utile e necessario è sì alla portata dell'uomo, ma solo quel che è inaspettato è in grado, in ogni momento, di suscitare la sua ammirazione."
Nel post successivo un esempio poetico eccelso: Il monte Bianco di Shelley.
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