sabato 10 dicembre 2011

Roland Barthes e lo Haiku

giovedì, 27 marzo 2008

Roland Barthes e lo Haiku
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     L'effrazione del senso


  • L'Occidente inumidisce di senso ogni cosa, alla maniera di una religione autoritaria che imponga il battesimo all'intera popolazione; gli oggetti del linguaggio (fatti con la parola) sono evidentemente dei convertiti di diritto:
  • il senso primo della lingua richiama, metonimicamente,
  • il senso secondo del discorso e questo richiamo ha valore di un vincolo universale.
Noi abbiamo due modi per evitare al discorso l'infamia del non-senso e sottomettiamo sistematicamente l'enunciato (in una chiusura estrema di ogni tipo di nullità, che potrebbe far intravvedere il vuoto del linguaggio) all'una o all'altra di queste significanze (ovvero fabricazione attiva di segni): il simbolo e il ragionamento, la metafora e il sillogismo.

Lo haiku, le cui espressioni accessibili (come si dice in linguistica) è attirato in un tipo o nell'altro di questi due imperi del senso. Dal momento che si tratta di un "poema" lo si cataloga in quella parte del codice generale dei sentimenti che si chiama "l'emozione poetica" (la Poesia abitualmente è per noi il sigificante di ciò che è "confuso", dell' "ineffabile", del "sensibile", rappresenta insomma la classe delle cose inclassificabili): si parla di "emozione concentrata", di "annotazione sincera di un istante d'eccezione", e soprattutto di "silenzio" (il silenzio essendo per noi segno di un pieno di linguaggio).

Se uno degli autori di haiku (Joso) scrive:

     Quante persone
     Sono passate attraverso la pioggia d'autunno
     Sul ponte di Seta!

vi si legge l'immagine del tempo che fugge.

*


Se un altro (Basho) scrive:

      Vengo attraverso il sentiero di montagna.
     Ah! che meraviglia!
     Una violetta!

è perché ha trovato un eremita buddista, "fior di virtù" e così via.



 






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[continua. Roland Barthes, L'impero dei segni, Einaudi, pagg. 81-82] - Roland Barthes e lo Haiku [1]  

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