venerdì 9 dicembre 2011

LA NUVOLA

martedì, 19 giugno 2007

LA NUVOLA
di Percy Bysshe Shelley






Io porto freschi scrosci per i fiori assetati,
   dai mari e le correnti,
porgo ombra lieve alle foglie adagiate
   nei loro sogni meridiani.
Dalle mie ali goccia la rugiada che ridesta                5
   ogni dolce bocciolo,
quando è cullato sul grembo di sua madre,
   che danza intorno al Sole.
Roteo un flagello di sferzante grandine
   e imbianco i verdi prati,                                      10
e poi di nuovo la dissolvo in pioggia,
   e rido, tuono e passo.
Vaglio la neve sopra i monti in basso,
   e i grandi pini gemono spauriti:
e tutta notte è il mio bianco guanciale,                     15
   mentre io dormo in braccio alla bufera.
Sublime sulle torri dei miei aerei pergolati,
   lampeggiando il mio pilota siede;
in una grotta sotto è incatenato il tuono,
   urla e spasmodico si torce;                                   20
sopra la Terra e il Mare, dolcemente,
   questo pilota mi conduce,
attratto dall'amore dei genii che si muovono
   nelle profondità del mare viola;
sopra i torrenti, sulle rupi e i colli,                             25
   sopra i laghi e le pianure,
dovunque sogni, sotto una montagna o un fiume,
   lo Spirito che egli ama indugia;
e mentre io mi crogiolo nel sorriso del Cielo,
   egli si dissolve in pioggia.                                       30
L'Aurora rosso sangue, coi suoi occhi di meteora,
   e le sue penne ardenti dispiegate,
balza in groppa al mio nembo veleggiante,
   quando la stella del mattino splende morta;
come sul dente di una rupe montagnosa,                    35
   che un terremoto fa oscillare,
un'aquila posata può un attimo fermarsi nella luce
   delle sue ali d'oro.
Quando il Tramonto esala, dal Mare sotto illuminato,
   i suoi ardori di riposo e amore,                                40
e il vermiglio manto della sera cade
   dalla profondità del Cielo,
con le ali chiuse, sul mio aereo nido, immobile
   come una colomba che cova.
Quella sferica vergine, di bianco fuoco carica,             45
   che Luna chiamano i mortali,
scivola scintillando sul mio lanoso piano,
   dalle brezze di mezzanotte sparso;
e ovunque il battito dei suoi piedi invisibili,
   che solo gli angeli odono,                                         50
abbia strappato il fine tetto della mia tenda, stelle
   le spuntan dietro, e occhieggiano;
e io rido nel vederle sfrecciare e vorticare,
   come uno sciame di api d'oro,
quando allargo lo strappo della mia tenda di vento,       55
   finché i calmi fiumi, i laghi e i mari,
come lembi di cielo caduti dall'alto attraverso di me,
   sono coperti dalla luna e dalle stelle.

Io stringo il trono del Sole in una cinta ardente
   e quello della Luna in un laccio di perle;                     60
i vulcani s'oscurano, e le stelle ruotano e nuotano
   quando i turbini il mio stendardo spiegano.
Da un promontorio all'altro, come l'arco di un ponte
   su un mare turbolento, non lasciando
che i raggi del sole mi attraversino, resto sospesa come un tetto -  65
   che i monti siano i suoi pilastri!
E l'arco di trionfo, sotto il quale io marcio
   con uragano, fuoco e neve,
quando i Poteri dell'Aria sono incatenati al mio seggio,
   è l'Arco di milioni di colori;                                           70
in alto la sfera di fuoco tesseva le sue molli tinte
   mentre l'umida Terra di sotto rideva.

Io sono la figlia della Terra e dell'Acqua,
   la pupilla del Cielo;
passo attraverso i pori del mare e delle rive; mi trasformo, 75
   ma non posso morire -
giacché dopo la pioggia, quando senza una macchia
   il padiglione del Cielo è nudo,
e i venti e il sole, coi suoi raggi dai convessi bagliori,
   fanno l'azzurra cupola dell'Aria -                                     80
io silenziosamente rido del mio cenotafio,
   e dalle grotte della pioggia,
come un bimbo dal grembo, come uno spettro dalla tomba,
   risorgo, e lo ridisfo ancora.

Si dispiega nelle figure del divenire e nelle immagini della mente questo monologo della nuvola, che racconta i cicli della natura e il continuo farsi e disfarsi della vita.


da Shelley,
Opere, Einaudi Gallimard, pagg. 625-629

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